di Francesco Farina
In principio era il cinema spericolato, quello “che si fa fuori” nella doppia accezione ironica dello schermo all’aperto e del destino quasi suicida dei documentaristi militanti, che vita facile – è risaputo – non hanno mai avuto scegliendo un segmento così poco commerciale e commerciabile. Oggi, siamo allo “schermo pazzo”, ultima trovata che traghetta la tredicesima edizione della Festa di Cinema del Reale direttamente nel cinema di strada: non ci sono più solo le mura protettive dell’atrio del Castello Risolo o la cinta perimetrale dei giardini del Convento dei Francescani Neri a preservare uno schermo, quest’anno il cinema a Specchia è da passeggio, come il gelato.
Sicuramente i puristi del buio in sala e della concentrazione sulle immagini storceranno il naso ma il Cinema del Reale ha fatto della sperimentazione la sua bandiera corsara, in tutti questi anni, e la maggior parte delle sue sfide sono andate a segno.
A ben guardare, quella dello schermo in strada non è anzi nemmeno una sfida. Ma un percorso che trova il suo punto di partenza nella volontà di proporre un cinema che “non se la tira”, che va incontro alla gente senza aspettare che sia la gente ad andare al cinema: non è quindi un tradimento, semmai un incanto. Perché è facile rimanere soggiogati dalle immagini proiettate – da certe immagini – mentre si sta attraversando un marciapiede o ci si sta spostando da una via all’altra del borgo e magari si sceglie di cambiare destinazione e intenti: stasera faccio qualcosa per me, resto a guardare e a pensare a quello che qualcuno mi racconta da quello schermo. Di sicuro, è una storia che non conoscevo o che almeno non avevo mai considerato in questa prospettiva, prima di passare davanti a questo video.
Perché è così. Le cose più interessanti della nostra vita accadono quando meno ce lo aspettiamo.
E di cose che sono cambiate, dai tempi del Cinema del Reale nel Palazzo Baronale di Galatone, ce ne sono tante. Ma anche questo fa parte delle sfide. Il “reale” non è immutabile ed è anzi un concetto destinato ad evolvere (qualcuno direbbe involvere) col passare del tempo. Nessuno, fino a qualche anno fa, si sarebbe posto il problema di fare i conti tra ciò che è reale e ciò che è virtuale, mentre oggi diamo per scontato che un’immagine o un video che ci arriva sul telefono sia virtuale ma legata alla realtà, sta succedendo o è successa nella vita reale. Qual è la differenza? La differenza non esiste se non nella nostra testa. Nella capacità di discernere, riflettere, valutare, criticare e formarsi un’opinione propria, alla fine della fiera.
La sorpresa sta nel fatto che questo processo è quello endogeno del cinema legato alla realtà. Da che mondo è mondo, i documentaristi propongono al pubblico lavori che sono destinati ad accendere faretti nella mente di chi guarda, ad illuminare le zone d’ombra di una vita o di un tempo che quasi sempre vanno troppo veloci, oppure sono oscurate dalla volontà di qualcuno che preferirebbe lasciarle al buio.
E questa è anche l’affascinante contraddizione del cinema che per nascere ha bisogno della luce ma per vivere non può fare a meno del buio. Un buio pieno di persone che, davanti allo schermo, s’illuminano tutte insieme.