Extra / In contemporanea
mostra fotografica di Michele Cera a cura di Valentina Isceri
Michele Cera, ingegnere e autore barese, nasce nel capoluogo pugliese nel 1973. Il suo interesse fotografico si muove in insediamenti umani e rilevazione del paesaggio come testimonianza dei luoghi sia della memoria chè come ricerca capace di tracciare un ritratto, prettamente legato a una matrice architettonica, insolito ed acuto del mezzogiorno italiano.
Pulito dalla retorica del fare arte a tutti i costi, con uno sguardo più antropico che altro, Bari Southern Coast riguarda echi di una cronaca di paesaggio che, mitigata da una temperatura acquarello traduce però un senso d'impotenza dell'oggi rispetto ai luoghi violentemente abbandonati. Si tratta delle aree costiere del meridione d'Italia lungamente vittime di speculazioni edilizie massive, illegali e abusive che divorano il litorale sud di Bari.
M.C. propone l'epica di un viaggio non solo geografico ma anche murario, per ritrovare l'identità perduta e riscattare quel lembo di terra ormai disconosciuto, dove il rapporto tra l'uomo e il territorio è deflorato dalla metallurgia contemporanea e vive nella placida attesa di un cambiamento rinnovabile.
Lo sguardo nudo dell'autore s'inscrive certamente nella tradizione della fotografia documentaria italiana, tra i cui padrini si citano Guido Guidi, Luigi Ghirri, Massimo Vitali senza pur tuttavia soffocare quel giacimento orbitante attorno al Documentary Platform (da un'idea dello stesso C. di unire in un archivio visivo autori nati a partire dal 1970 in poi) che imprime la volontà di reinterpretare attraverso il monitor mediale della fotografia la geografia umana, scenari odierni in contrapposizione a scenari storicizzati, processi di origine spontanea o irregolare di alcuni centri aggregativi con la conseguente formazione e crescita di piccole comunità autonome.
Queste visioni dal disincantato fascino dichiarano quella bellezza invisibile che satura l'anima, da noi interpretata come la notifica di albe torbide che si confessano apertamente in quel genere di attitudine sgangherata che hanno assunto questi edifici ormai defunti ma colonizzati da migranti e clandestini, in una prospettiva o fattore di spensieratezza che sparisce all'istante.