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La voce erotizza il mondo

22 luglio 2016

La voce erotizza il mondo

di Mimmo Pesare


Impariamo a parlare a partire
da quello che abbiamo udito

(Sigmund Freud)


I hear her voice
Calling my name
The sound is deep
In the dark
I hear her voice
And start to run
Into the trees
Into the trees
(The Cure, “A Forest”)



La voce non ha a che fare con il parlare.
O almeno non in maniera così diretta e totalizzante come si potrebbe pensare. La comunicazione, l’atto del parlare è associato a un codice che ci lega, ci allaccia, ci stringe al senso.
La posizione della voce, al contrario, è essenzialmente fuori-senso.
La voce è precedente al senso: è l’incarnazione del legame con l’altro, anche quando il senso non c’è o fa fatica a rendersi comprensibile. E il paradosso di questa strana alchimia, per la quale il respiro della vita passa attraverso spazi vuoti (quelle fessure che chiamiamo “corde vocali”) e si trasforma in vocalità, urla, canto, è costituito dal fatto che il legame con l’altro è basato sulla mancanza. C’è voce quando manca qualcosa, quando l’oggetto (di soddisfazione, di cura, di amore) non è alla nostra portata diretta. L’incanto della voce è la sua dimensione di mancanza.
Lacan, parafrasando Freud, dice che veniamo al mondo come “un urlo disperato nella notte”. La voce, prima di essere associata a un senso, prima di diventare linguaggio, è un appello, una invocazione al legame umano. Alla vita, poi, il compito di associare quel grido a un senso, di trasformarlo in un legame che dà senso al fatto che siamo venuti al mondo. La voce, dunque, è il segno della mancanza originaria con la quale tutti noi nasciamo: ci ricorda continuamente che la nostra vita non avrebbe significato se non nella relazione.

La voce è fatta di materia sottile.
La sua grana è labile, sfugge da tutte le parti, come l’inconscio. La sua dimensione di mancanza non è solo simbolica: la sua materia è la memoria.
Per questo la voce è tradimento continuo. Tramanda un filo interiore che dall’udito della prima voce materna al linguaggio della nostra vita adulta ci costituisce come soggetti. Tramanda, ma al tempo stesso tradisce continuamente quel filo, in quanto esso non è mai un filo logico, razionale, ma emozionale, affettivo. Quando parliamo tradiamo immancabilmente il senso che chi ci ascolta pensa di collegare a ciò che diciamo. Quando parliamo, la voce è innanzitutto la memoria emotiva di quell’appello originario, di quel “cosa sono io per te?”.
Il tradimento della voce è nella memoria, che ne è materia. Quando parliamo, quando piangiamo, quando urliamo, quando cantiamo o declamiamo o recitiamo, noi ricordiamo. Ricordiamo, senza rendercene conto, il nostro primo “grido nella notte”, la nostra esperienza della solitudine, della mancanza e della necessità di avere un legame, di essere riconosciuti nell’ascolto dell’altro.

Ma soprattutto la voce erotizza la vita. Questo è il suo più grande incanto.
La voce è uno dei più potenti oggetti pulsionali. Non a caso, sempre Lacan aggiunge alle tre zone erogene scoperte da Freud, anche la voce e lo sguardo. La voce è una zona erogena, e come tale erotizza il mondo, lo rende “libidico”, lo trasforma in un oggetto del godimento…ci sia o non ci sia un senso. La piacevolezza, la musicalità o, al contrario, la violenza, la ruvidità di ciò che il neonato ascolta, formerà la sua indole e la sua capacità di godere del mondo molto più di tutto quello che succederà nella sua educazione futura. Se il suo marchio sarà erotico, se l’eros passerà attraverso le sue note, chi ne riceverà la carezza sarà in grado di erotizzare il mondo. L’afasia del nostro tempo, la ricerca del senso logico, del progresso razionale, tecnologico, sembrano il lamento senza soluzione di questo grido nella notte: chi lo ascolta?
Attenzione a come usiamo la voce…possiamo aspettarci molto dal suo effetto. Possiamo esclusivamente legarla a un senso o possiamo farne molto di più: possiamo erotizzare il mondo!

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