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Salvataggi dalla dis/memoria

24 luglio 2013

Salvataggi dalla dis/memoria

di Cecilia Mangini


Succede che la redazione di Cinema del reale mi spedisce via mail una foto con una data che si intravede appena, a stento riesco a decifrarla, c’è anche un “CIN“ sbiadito che di colpo mi riporta all’edizione di Cinema del reale del 2004: è un ricordo forte, è l’anno di una svolta, è un segnale difficile a capirsi se non si sa che il documentario italiano nei Settanta è entrato in agonia, negli Ottanta è sprofondato in coma, nei Novanta ha esalato l’ultimo respiro. 

In quel 2004 Cinema del reale organizza una retrospettiva con il meglio di Vittorio De Seta, e sì, l’anno dopo ci sono anche dei documentari miei, lo dico con orgoglio, eravamo stati scelti non per noi, ma per affermare che il cinema della realtà non facit saltus (grazie Bertold Brecht), che la sua continuità perdura sempre, al massimo scompare sottotraccia: il documentario è un’araba fenice che brucia, si riduce in cenere, risorge e torna a vivere, a essere trasposizione e chiarimento e scoperta e denuncia e metafora e paradigma di quanto realmente succede in noi e intorno a noi. E perché succede. 

Questa continuità con il passato è tanto rivoluzionaria che la politica anticulturale odierna, nel suo intento di azzerare ogni sviluppo culturale, a parole si ammanta di condivisione ma nei fatti si industria a cancellare ogni forma di continuità, a sopprimerne il ricordo. Con i giovani sono bastate due o tre mosse: dilatare il salto generazionale, farla finita con la fatica di imparare l’ABC del cinema, trascinarli a credere che la loro identità consiste nel distacco e nel disinteresse verso il cinema della realtà: mai veicolare idee, mai creare aspettative, mai coinvolgere in paradigmi di vita in anticipo sui tempi. Che ci vuole, basta fare del divorzio dal passato il proprio codice a sbarre della personalità. L’esigenza del sociale? Che puzza di stantio. La collettività? Basta con le decrepitezze. L’individuo nel suo psicologismo? È la via, la verità, la vita.

Riconoscere che tra il passato e l’oggi si è aperto un gap di cui nessuno parla, è un’annotazione che non spiega nulla. La mia lettura personale, viziata dall’essere io stessa parte in causa, è che nella grande mutazione antropologica che viviamo realizzando a sprazzi il suo disastro, non ci rendiamo conto che la democrazia sta per essere ridotta consociativamente in coma irreversibile perché diventi come Eluana Englaro, morta-vivente obbligata a vegetare in terapia intensiva. Come testimoni di questa mutazione i pericolosi dissenzienti siamo noi, il meccanismo per farci diventare parco buoi è rinchiuderci dentro un presente eterno, è facilissimo, basta sopprimere il passato. Ma se il passato non esiste, è il futuro a essere abolito. 

A questa deriva Cinema del reale dice no.

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