di Dialoghi di Cinema del reale
La piazza di Specchia è deserta, è la controra, fa caldo, tutte le attività sono sospese in attesa dell’inizio della Festa di Cinema del reale, un cane bianco e uno nero sonnecchiano sotto la torre dell’orologio, passa un vecchietto su un’Ape scoppiettante inseguita dai cani che abbaiano e poi tornano lentamente al loro posto. Cecilia e Vinicio sono seduti su una panchina all’ombra, la strada è spaccata dal sole.
CECILIA- La domanda che voglio farti io è molto semplice,sarai stato tante volte di fronte all’obiettivo, e questa volta, con Andrea (Segre) eri anche dietro l’obiettivo, e quindi è stato un incontro molto complesso e molto forte col cinema: ce lo racconti?
VINICIO- Beh sì… qui si tratta di dividere un immaginario…in questo caso sono stato io a cercare un regista,e nella fattispecie Andrea, una volta che ho conosciuto meglio il suo lavoro, per cercare di raccontare con il mezzo del linguaggio cinematografico… documentare una situazione con cui avevo necessità di confrontarmi era anche una cosa oggettiva cioè molto reale, quindi riprendere persone nella realtà però… confrontandosi con una cosa così immateriale, che fa parte di un immaginario che è una musica come quella del “rebetiko”, una musica che per altro ha anche tutta un’ estetica, una cosa che vive… nei locali dove la si pratica ci sono tutte queste fotografie che stanno lì come quasi delle pertinenze, quasi come una specie di altari laici, di questi vecchi musicisti dell’ epoca aurea di una musica che viene perpetuata ma anche suonata, ma la cui età aurea è stata un’altra no?
E, quindi, girare nell’Atene di oggi, nella Grecia di oggi qualcosa su quella musica, significa anche forzare un immaginario… perché, noi quando sentiamo una musica abbiamo in mente qualcosa che ha i volti di quelle fotografie, di quelle vecchie fotografie, di queste immagini in bianco e nero, di queste facce che non esistono più, come non esistono più quei luoghi dove si pratica.
Quindi tutto questo lo si può (evacuare?) a mezzo della scrittura ma riprenderlo con una camera…voglio dire…mettersi proprio a contatto anche con la brutalità della contemporaneità… però c’è la cosa oggettiva di cosa rimane nelle persone di questa musica… quindi dividere con un regista questo tipo di immaginario, di una musica che ti appartiene molto, che ti ha molto segnato interiormente, è sempre un po’ come aprire una custodia, uno scrigno abbastanza personale… no?
CECILIA- Io credo che quello che hai così portato in primo piano -perché francamente penso che eri anche dietro la macchina da presa, non eri solo di lato o davanti - è l’immagine di quello che la musica può diventare dentro le persone, perché la musica è una specie di armata di conquista … o no?
VINICIO- Quando anche si perde tutto, una delle poche cose che ci si porta dietro è comunque la musica, il ricordo della musica, di uno strumento… tu puoi aver perso la casa, la terra, la cosa… però quella canzone magari invece permane e viene in questo esodo con te, ed è un po’ quello che è successo in questa musica e in altre musiche analoghe, cioè portarsi dietro un cosa dopo aver perso tutto e su quella iniziare…molte di queste musiche vengono dal lamento… Tu ha fatto un lavoro sul lamento funebre, quindi il lamento . CECILIA- il pianto funebre… ci sono proprio un genere di queste canzoni di Smirne che sono davvero straordinarie, sono proprio pianti funebri…
CECILIA- perché lo sai che non erano le prefiche, erano professioniste del sacro…
VINICIO- …professioniste del sacro!
CECILIA- si, erano professioniste del sacro e lo sapevano, erano sacerdotesse, le vere, quelle vere… quelle che sono necessarie alla gente colpita dalla sciagura della morte, e loro erano la barriera contro questa sciagura… come in fin dei conti, se vogliamo anche le canzoni…il canto… le canzoni urbane di cui stiamo parlando ora, perché non solo c’è la musica, ma c’è la voce… la voce che è la cosa più umana… la voce che canta è forse il momento più umano di quello che è il complesso della musica… o sbaglio?
VINICIO- Sì, naturalmente sì, la voce è forse l’unica cosa che rimane, la cosa proprio più… quando ti sei tolto tutto, tranne la ninfa che perse anche la voce. Ma a questo punto, è la mia volta di fare invece io una domanda, perché tu hai lavorato… non conosco bene il tuo lavoro… però mi pare di intuire intanto il canto rituale, funebre e poi anche quest’uso della musica che ho visto ieri in questo bellissimo lavoro sul Divino Amore, sostituire proprio il linguaggio e la voce fuori campo con un momento musicale, con la musica ecco…
CECILIA- Ma il compositore Egisto Macchi è un co-autore, sai?
VINICIO- E’ un co-autore esatto… e come è stato lavorare così, prima avete filmato e poi avete…
CECILIA- Sempre filmavo prima, sapendo però quali sarebbero stati i collaboratori e con Egisto c’era un rapporto bellissimo, di fratellanza vorrei dire, perché mi piaceva enormemente il rapporto che lui aveva con la musica, ci sono stati dei momenti in cui, per esempio, è stato capace di spiegarmi che qualche volta la musica che gli chiedevano per i film non era musica, era “misuc”, e in questo capovolgimento delle vocali è detto tutto. Allora io ritengo che nel Divino Amore non c’è “misuc”, c’è la musica, in pieno, che svolge quella funzione, come dire… di valore aggiunto.
VINICIO- Perché nella presentazione avete scritto che il tuo Divino Amore è anti-etnografico e anti-antropologico?
CECILIA- Perché volevo denunciare che era tutto un falso, con un assembramento di rituali ormai, che erano diventati vuoti. Ci sono processioni nelle quali proprio per l’antichità dalla quale sgorgano, la gente crede, la gente ci si appoggia. Al Divino Amore c’era solo la disperazione, le donne se ne vanno camminando all’indietro e piangono, io ho pianto con loro, perché sapevo che erano state ingannate e io l’ho detto, spero di averlo detto, Vinicio, spero di esserci riuscita.
VINICIO- Io pensavo, anche vedendo le immagini di queste donne, anche dietro, più dietro rispetto a questa richiesta innata del sacro, no?...prima di Cristo, prima di tutto, a tuo parere c’è ancora qualcosa, almeno in quelle donne, in queste persone c’era ancora un rapporto col sacro che aveva un’ancestralità che era precedente a quella della Chiesa?
CECILIA- Non lo so, Vinicio, non lo so perché la grande mutazione antropologica di cui la Chiesa è responsabile, è che non è più la religione, cioè il sacro che conta, ma una superstizione. Mi è venuto in mente che, oltre l’ Eucaristia, la musica è anche Ecclesia, cioè accoglienza … è come se la musica fosse la nuova chiesa nella quale tutti siamo uguali e compartecipi, pensa che bellezza!
VINICIO- Cecilia è proprio come Patty Smith… come Mick Jagger, solcata … no, anzi ecco, come Keith Richards!
CECILIA- Posso assicurarti che in tutta la mia vita, lunga, tanto lunga… non ho mai avuto un complimento così bello!
Passa una moto rombando, i cani la inseguono abbaiando, tre vecchietti sono seduti in silenzio sulla panchina di fronte al barbiere, scocca la fine della controra, suona la campana.
Dialoghi di Cinema del reale
Regia e fotografia Paolo Pisanelli
Montaggio Matteo Gherardini
Trascrizione testi Milena Pascali