di Mimmo Pesare
Ho preso il vuoto dalle stelle
e l’ho sparso lungo le strade del mondo
e sulla vostra pelle
Massimo Volume, “Dymaxion song”
Strade che si lasciano guidare forte
Poche parole piogge calde e buio
Tergicristalli e curve da drizzare
Strade che si lasciano dimenticare
Subsonica, “Strade”
To the centre of the city where all roads
meet, waiting for you
Joy Division, “Shadowplay”
In the corner of the morning in the past
I would sit and blame the master first and last
All the roads were straight and narrow
David Bowie, “The Width Of A Circle”
La Festa del Cinema del Reale, giunta alla sua undicesima edizione, si accinge a sedimentare dei caratteri propri: non è più un prodotto culturale da fruire passivamente ma, come un organismo vivo e dotato di vita propria, si trasforma e trasforma i suoi stilemi e i suoi piccoli rituali attraverso un percorso che ne ridisegna ogni edizione e che delinea affascinanti percorsi carsici. Si dipana, insomma, un filo rosso che comincia a rendersi riconoscibile, perfettamente dotato di una sua identità. Il pubblico di Specchia reagisce con le emozioni che i suoi palinsesti, di anno in anno, propongono, in maniera interattiva, mai stagnante, sempre in perenne dinamismo, in un flusso continuo di passeggiate e scoperte, tra le scale, gli schermi, le stanze, i balconi, i ballatoi del Castello Risolo.
La Festa del Cinema del Reale è una piccola alchimia di passaggi, di flâneurs, di sguardi e incontri mai fermi, mai statici.
Forse per questo motivo l'edizione 2014 è stata pensata come un personale tributo ai vettori, agli incroci, agli scontri e alle migliaia di scalini e porzioni di spazio percorsi dalle persone che in questi anni hanno colorato le infinite possibilità di incontro a Specchia.
Quale metafora più calzante, se non quella delle strade?
Le strade di Kerouac, le strade di Hemingway, le strade fisiche e quelle interiori delle vite incastonate all’interno della finzione del cinema e dalla magia che, da i Fratelli Lumière e da Méliès, fino ai racconti contemporanei, rendono il cinema mai qualcosa di inerte, ma una magia/finzione infinitamente cangiante, una mitopoiesi della imprevedibilità dell'umano.
Questa edizione vuole essere la cartina di tornasole del lascito più immediato, più sanguigno, più punk che l'arte cinematografica si porta dietro: la cornice della ineludibilità del movimento, della instancabile indole di ricercare qualcosa di sempre ulteriore.
Strade/finzioni/magie può apparire un trittico di concetti apparentemente molto distanti tra loro e poco coniugabili. Ma le parole e i concetti sono fatti per essere “bucati”; sono sempre un appuntamento mancato con la presunta razionalità e con l'auspicata leggibilità dei fenomeni sociali. Nell'arte, come nella vita, c'è sempre qualcosa che ci trascende e che ci supera e questo, in un certo senso, vaccina dalle nostalgie nei confronti di un ipotetico centro del discorso, unitario, finale, padroneggiabile.
Come ogni testo, anche il cinema attorciglia le sue spire attorno al suo linguaggio, senza però rimanerne imprigionato, senza esserne determinato una volta per tutte. "Non ho che una lingua. E non è la mia", scriveva anni fa Jacques Derrida, e questa impossibilità del linguaggio di circoscrivere un perimetro assoluto lungo le creazioni dei suoi artisti e lungo le vite e le emozioni dei suoi spettatori ci sembra la lettura più coerente e più affascinante del tema della strada. La strada come possibilità infinita di spostamento interiore ed esteriore. La strada come casa temporanea e come dimora parziale. La strada come fuga, come spaesamento e spossessamento dell'Io. La strada come anfratto di ogni magia che l'arte crea e come finzione che però, paradossalmente, possiede la verità dell'inconscio di ognuno, liberando il sogno e l'autenticità del suo desiderio.
Mimmo Pesare