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We are all fakes siamo tutti dei fake

26 luglio 2013

We are all fakes siamo tutti dei fake

di Claudia Attimonelli / Vincenzo Valentino Susca


O anche, F come Falso, in cui si parla di come il Reale 

sia cinematograficamente irreale e di come l’Immaginario sia il Reale 

a cui aspiriamo maledettamente senza vederne (più) i confini. 

Ai confini della realtà, l’immaginario è una sostanza intangibile 

in costante ed esorbitante procinto di farsi carne

 

 

È del 2010 il celebre mokumentary intitolato Exit through the Gift Shop. Un film di Banksy1, sulla figura del più grande artista contemporaneo legato al mondo della street art e del post-graffitismo, tuttora anonimo e oggetto di morbosa curiosità nonché di non ancora sventati tentativi tesi a rivelarne l’identità e i segreti. Il regista del suddetto film, visto e tradotto in numerose lingue, rimane tuttora ignoto. Curioso credere, come normalmente capita ed è capitato, che il film l’abbia girato Banksy solo perché enunciato dal sintagma Un film di Banksy. Tale dichiarazione confonde con chiarezza poiché si finge affermazione veritiera del nome del regista e smette d’essere letta come parte integrante del titolo se non di una specie di sottotitolo. 

È precisamente dichiarando l’autorialità del film che si innesca la strategia del fake. Il film è reale. Il film non è un documentario e non è di Banksy.

Tuttavia il genitivo relativo “di” Banksy funziona come per dire, questo film parla di Banksy – il che, a visione fatta non corrisponde evidentemente al vero poiché è piuttosto un film su Mr Brainwash, il frankensteiniano Thierry Guetta, essere mostruoso sfuggito al controllo del suo creatore – Banksy appunto. Non solo, il film non è neanche “di” Banksy inteso come genitivo possessivo, cioè non è girato da lui ed è sufficiente, se lo si ha fra le mani, girare il dvd sul retro per vedere, in modo del tutto inedito, che non vi è alcun riferimento né a lui né alla paternità della regia fra la lunga lista dei credits.

Sorprendente. Il genio di Bristol risulta pertanto un autore invisibile, un autore senza corpo, di cui l’intervento ricreativo agisce con le mani di tutti, o quantomeno di “altri”. In qualche modo, siamo tutti Banksy. Si assiste qui al compimento maturo di quella che è ed è stata l’epopea del cinema in quanto prodotto immediatamente svincolato da un creatore che non fosse, in realtà, un processo creativo dalle anime e dalle forme multiple. Genialità collettiva a sua volta espressione ad alta voce di un immaginario invisibile, intangibile, notturno e sfuggente agli stessi soggetti e oggetti dalle cui profondità segrete affiorava. 

Hollywood ha palesato in modo maestoso l’incantesimo della corrispondenza tra genti, sale e lungometraggi, inaugurando l’irruzione sulla scena di una realtà gonfia del sogno, intrisa di piaceri e sempre ammiccante al sex appeal della morte – da James Dean a Marilyn Monroe, da Dracula a King Kong. 

Banksy e i suoi, Banksy e le sue proliferanti identità, Banksy dalle infinite maschere evoca la materializzazione più sognante e più graffiante di un divenire multiplo del soggetto laddove esso non è più “sé” ed è più vasto del “sé”. Evanescente e mutante, la persona contemporanea danza ebbra accarezzando con gaiezza ed irriverenza le strutture del quotidiano per celebrarne il carattere effimero nel gioco della ricreazione del mondo.

 

“Le nostre idee sono nella testa di tutti”, sostenevano fieri i situazionisti. Siamo tutti nella testa di Banksy, ma lui non c’è. In fondo, anche noi non ci siamo più, condotti da flussi, implicati in spirali, costretti con-sensualmente in lacci e catene ove non vi è più posto per l’individuo moderno con il suo sogno paranoico della disgiunzione dal mondo per poterlo afferrare e plasmare. La sala oscura resta la scena della circolazione dei sogni per assecondare il ciclo e il circolo della carne. Come nei laboratori immaginifici delle serie televisive – Black Mirror, The Sopranos, True Blood, Breaking Bad, Dexter… – sublimazioni popsurrealiste dei mattatoi di Francis Bacon e del Dottor Frankenstein, il sentire toccante agitato dal corpo a corpo tra lo schermo e il pubblico, la finzione che si traveste da testimonianza del Reale, tra te e me, tra l’ombra e la scintilla del sogno mortificano il principio di realtà per battezzare l’avvento di un reale più reale del reale, incubato nell’incontro erotico tra la notte dell’immaginazione e l’aurora del cinema.

Siamo tutti Banksy. Siamo tutti in scena. Il cinema non è più. Il cinema è il quotidiano che sogna. “E il mondo vero divenne favola” (Nietzsche), ovvero la favola è diventato il mondo vero. We are all fakes. Così sia.

 

 

1) In effetti fra i titoletti in apertura si legge: “Il primo disaster movie sulla street art”

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