di Goffredo Fofi
(su Monicelli)
Ho avuto l’enorme fortuna, nella mia vita, di godere dell’amicizia di persone famose e di persone – molte, molte di più – che non lo erano affatto. Tra le famose mi è stato più facile affezionarmi a quelle che più somigliavano alle non famose, quelle che nella loro vita quotidiana e nei loro rapporti con il prossimo dimostravano un’intensità di sentimenti e una coerenza tra idee e comportamenti che creavano – dopo essersi studiati per un po’ – una comunicazione profonda, una fiducia reciproca che non aveva bisogno di molte parole. Si poteva dissentire su molte cose, ma raramente si tornava indietro, e perché questo accadesse ci volevano dei tradimenti davvero gravi…
Ho conosciuto Mario Monicelli negli anni settanta, al tempo del libro su Totò scritto insieme a Franca Faldini, ma è solo quando sono tornato ad abitare a Roma, a Monti, non lontano da dove lui abitava, che abbiamo preso a frequentarci assiduamente, a “piacerci” davvero. Tra l’altro, apprezzava molto le cene a casa mia, affollate di gente molto varia per professione e origine, spesso giovani “cinematografari” che lo stimolavano a raccontare ma soprattutto a dire le sue opinioni sulla situazione politica e non solo sul cinema, sul presente e non solo sul passato. Lo accompagnava a volte Chiara, e spesso Annetta la sua formidabile “segretaria” e amica, ed è certo che la conversazione non languiva mai. Le sue opinioni erano dirette e spesso taglienti, andavano subito al sodo.
Da quando non poteva più far film (dell’ultimo e dei suoi “esterni” africani ho seguito tutte le vicende, se
non giorno per giorno settimana per settimana), era come se avesse mutato la sua vocazione da regista a
educatore “pubblico”, in cento incontri in giro per la penisola e spesso in televisione, e mi sembrava a volte che il confronto diretto con i giovani che incontrava in casa mia (di preferenza “operatori sociali” e “attivisti” e non solo scrittori, critici, fumettisti, teatranti, registi o aspiranti tali) gli servissero per capire i punti deboli
di una generazione e di una cultura – che era poi quella degli anni berlusconventroniani – confuse e a volte tramortite dalla miseria di ogni discorso pubblico.
Quando Gianluca Farinelli della Cineteca di Bologna – che sia Mario che io frequentavamo molto volentieri, piccola oasi di intelligenza, diciamo pure anti-damsiana, di cosa il cinema era spesso stato e avrebbe dovuto essere – chiese a Mario di farsi intervistare da me su ciò che gli sarebbe piaciuto di più di ricordare e trasmettere della sua storia e delle sue idee, Mario ne fu felice, e i molti pomeriggi passati da soli nel suo monolocale in via dei Serpenti, seduti sullo stesso divano, un piccolo registratore antiquato pizzato su una
sedia, sono tra i ricordi più belli di quel tempo. A unirci, io credo, nonostante la differenza d’età, era la mia conoscenza dei nomi e a volte delle persone, dei film, dei libri, dei fatti che gli tornavano alla mente, o che gli facevo tornare in mente con la mia curiosità.
Dentro queste chiacchiere, questi ricordi, queste evocazioni ci trovavamo a nostro agio. Ed è uno di questi pomeriggi che Pino Guidolotti ha voluto fissare con la sua macchina fotografica, cogliendo Mario in momenti di vera serenità. Gliene sarò eternamente grato – e ho spesso rimpianto che non ci fosse un Pino quando mi è capitato di provare un simile stato di dolce euforia intellettuale e affettiva con altre persone, note e non note, e tra le note Elsa, Carmelo, Federico, Andrea, Giovanni, Anna Maria…
Goffredo Fofi, “Lo straniero” via Nizza 56 - 00198 Roma, tel. 0632828221 www.lostraniero.net
Le foto della mostra sono state scattate in casa di Mario Monicelli, in via dei Serpenti a Roma il 6 dicembre 2008 / guidolotti@gmail.com